La ragnatela di Tanzi:
ecco tutti i nomi dei politici
Nei verbali dei sei interrogatori il racconto di
20 anni di lobbismo Legami con Berlusconi,
Prodi, Fini, Casini, Alemanno e D'Alema.
Il "sistema" e le strategie del patron
Parmalat: rapporti, favorie, finanziamenti a 360 gradi. Ma non ci
sono indagati nei partiti di CARLO
BONINI e GIUSEPPE D'AVANZO
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Che cosa ha raccontato
Calisto Tanzi? Le sue rivelazioni sono raccolte in non più di sei,
sette pagine di interrogatorio. Gli interrogatori sono stati sei
(23, 26, 27, 28, 29 gennaio, 5 febbraio). Le pagine nelle mani dei
procuratori di Milano e di Parma sono dunque, più o meno, quaranta.
E' soltanto la versione riassuntiva del lungo racconto del patron
della Parmalat. Bisognerà attendere la trascrizione integrale dei
nastri di registrazione per avere il quadro completo dei ricordi
dell'imprenditore di Collecchio. Di molti dettagli, circostanze e
intrecci, riferiti a voce (e registrati), ci sono soltanto sintetici
accenni nei verbali, ma nelle quasi quaranta pagine raccolte dai
pubblici ministeri c'è il disegno di venti anni di rapporti, di
amicizie e di legami che, come in una larga e intricata ragnatela,
Calisto Tanzi ha intrattenuto con l'élite politica e istituzionale
della Prima e della Seconda Repubblica.
E' il racconto di frequentazioni, finanziamenti di eventi,
partecipazioni o acquisizioni di società che gli hanno consentito di
entrare a far parte di quelli che l'imprenditore di Colecchio
definisce i "salotti buoni". E' il resoconto delle iniziative furbe
o maliziose o necessarie mosse per entrare nei luoghi che hanno
permesso alla Parmalat di essere protetta. O addirittura l'hanno
acconciata nella favorevole condizione di influenzare le decisioni
pubbliche utili ai destini dell'azienda.
La ragnatela di Calisto Tanzi ha avuto fili e terminali ben profondi
nel sistema politico, quale che sia la coalizione che lo ha
governato o lo governi. Non appare al momento una macchina
corruttiva. Non ci sono in questa storia, nelle ammissioni degli
imputati, borse gonfie di denaro o tesori nascosti. Non si legge in
questi verbali dell'antica pratica della corruzione che manipola la
decisione politica. La ragnatela di Tanzi sembra diventata prospera
grazie a una costante attenzione agli interessi degli interlocutori
pubblici, contrabbandata come amicizia e nel segno della
collaborazione politica, sempre lesta a mutare con il mutare degli
equilibri di potere. In qualche caso, addirittura alla luce del
sole.
Nella ragnatela, proposta ai magistrati, sono decine e
decine i nomi, piccoli, grandi, grandissimi, eccellenti. E non ci
ferma all'Italia perché si spazia dai governanti del Brasile ai
premier di Argentina, Uruguay, Venezuela. A scorrerne l'elenco
programmatico, per dir così, che Tanzi accetta di buttar giù fin dal
primo interrogatorio, ci si può rendere conto di quanto fiele può
avvelenare la vita pubblica italiana. C'è il nome di Romano Prodi,
presidente della commissione europea; del premier Silvio Berlusconi
e del vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini. C'è il nome di
un ex capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, del presidente della
Camera Pier Ferdinando Casini, di un ex-presidente del Consiglio
Lamberto Dini, di un ministro in carica Gianni Alemanno, del
presidente del maggior partito dell'opposizione Massimo D'Alema, se
solo si vuole stare alla nuova politica e lasciare in un canto la
vecchia guardia dei Ciriaco De Mita, Giovanni Goria, Riccardo Misasi,
Enzo Scotti.
Calisto Tanzi si rappresenta ai magistrati sistemato al centro di
una trama che intreccia solidi e solidali nodi con l'intero
schieramento politico nazionale. Accenna alle ragioni della sua
strategia. Quelle relazioni con la politica, con i politici gli
avrebbero aperto le porte del sistema bancario, avrebbero reso i
banchieri più amichevoli. Con la voragine che gli si apriva mese
dopo mese sotto i piedi, Tanzi aveva bisogno dell'appoggio
finanziario delle banche come dell'aria che respirava. Bisogna
ripeterlo ancora. L'imprenditore non rivela ai magistrati nessuna
pratica illecita o corruttiva. Chi è vicino al patron della Parmalat
ricostruisce così quelle relazioni politiche e istituzionali: "Lo si
può definire un lavoro di lobbing. Tanzi non corrompeva i politici.
Voleva soltanto creare buoni rapporti di amicizia e collaborazione
creando una "fascia di protezione" alle sue attività. Finanziava le
iniziative dei politici, le campagne elettorali, sponsorizzava
questo o quell'evento, concedeva pubblicità, entrava in affari o
faceva fare affari a chi era più vicino a questo o quel leader
politico. Poca cosa, a sentir lui. Dai quattro ai sei miliardi di
vecchie lire, l'anno. In cambio si attendeva attenzione per le sorti
della sua impresa. Da un certo momento in poi, però, Tanzi ha avuto
la sensazione, per dir così, di essere costretto a finanziare le
iniziative dei politici, quella campagna elettorale, quel giornale o
quella manifestazione. In qualche modo, per usare una metafora, da
ragno che secerne fili sottilissimi per costruire la sua tela e
catturare gli insetti, si è sentito prigioniero di quella stessa
trama che aveva costruito".
In questa allegoria della ragnatela che afferra e stritola il suo
tessitore, è l'ambiguità della ricostruzione fin qui compiuta da
Calisto Tanzi. Ambiguità che spiega le difficoltà che hanno i
pubblici ministeri a maneggiare una materia che è, fino a questo
momento, senza forma e segno, senza tracce di responsabilità penale.
Come distinguere la captatio benevolentiae, che Tanzi cercava di
conquistare, da richieste che al patron di Collecchio sono apparse
ricattatorie o almeno che oggi dinanzi ai magistrati descrive come
autoritarie: insomma, richieste che pensava di non poter rifiutare?
Nel 1994 con la "discesa in campo" di Berlusconi, dice
l'imprenditore ai pubblici ministeri, cominciai a finanziare
Fininvest. In realtà, spiega poi, la Parmalat incrementò soltanto il
gettito pubblicitario a favore delle reti di Berlusconi a scapito
della Rai. Mossa per conquistare il gradimento del premier vincente
o esplicita richiesta del management della Fininvest? Tanzi non
accusa gli uomini di Berlusconi. Offre quell'informazione ai
magistrati senza aggiungere altro.
Lo stesso trattamento riserva a Romano Prodi. Partecipai, spiega
Tanzi, all'aumento di capitale di Nomisma, entrando nella Si. Sa. G
s. r. l insieme ai gruppi Auricchio, Cremonini, Gazzoni Frascara,
Rana, Rovagnati, eccetera. Mi attendevo, aggiunge, un certo
atteggiamento di Prodi a Bruxelles. Era un'attesa che aveva qualche
fondamento nelle promesse o negli impegni del Professore? Anche qui
Tanzi non spreca parole né accuse. Registra le sue aspettative.
Riferisce una sua deduzione. Gli capita anche con Berlusconi di fare
una deduzione.
Nel novembre dello scorso anno, racconta ai pubblici ministeri, mi
recai accompagnato da mio figlio Stefano, a Roma, a Palazzo Chigi.
Qui incontrammo Berlusconi nel suo ufficio. Gli prospettai le
difficoltà della Parmalat e cominciai ad affrontare la questione che
più mi stava a cuore sollecitare: il benevolo intervento del sistema
bancario per salvare la Parmalat dalla bancarotta. Berlusconi mi
disse che aveva poche leve sulle banche. Capii che quell'incontro
non avrebbe avuto esito, Berlusconi mi parve molto poco concreto e
la nostra conversazione virò sul campionato di calcio. Dopo qualche
battuta e soltanto quindici minuti, venni via. E tuttavia, ritornato
a Collecchio - ricorda Tanzi - la Consob mi diede un po' di respiro
e io pensai che Berlusconi fosse intervenuto, magari con una
telefonata a Lamberto Cardia, presidente della Consob.
Soltanto una personale deduzione. Non un fatto, non una circostanza,
non un riscontro da rintracciare. E' con questo schema privo di
qualche apprezzabile raffronto che Calisto Tanzi chiama in causa
Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini. Racconta il patron di
Parmalat: in occasione di campagne elettorali, parlai con Casini e
Fini che mi indicarono i nomi dei candidati che potevo appoggiare
finanziariamente. Ma era Tanzi a proporsi come finanziatore dei
candidati di An e Udc nei collegi del Parmense e dell'Emilia o erano
i leader di quei partiti a pretendere che egli aprisse il
portafoglio alla vigilia delle consultazioni elettorali? Il patron
di Collecchio non lo spiega. Lascia cadere il ricordo
nell'interrogatorio. Si riserva di spiegare meglio. I pubblici
ministeri storcono la bocca, diffidenti.
Con il registro dell'equivocità, Calisto Tanzi evoca così il suo
appoggio finanziario a Massimo D'Alema attraverso Marco Minniti e i
rapporti con la Lega di Umberto Bossi, con Bruno Tabacci (Udc,
presidente della commissione attività produttive), Pierluigi
Castagnetti e Renzo Lusetti (presidente e vicepresidente dei
deputati della Margherita), con Gianni Alemanno, An, ministro
dell'Agricoltura, al quale sarebbe stato finanziato un periodico. A
volte, dice Tanzi, il rapporto con il politico non era diretto, ma
veicolato attraverso un amico.
Così, racconta, decise di favorire alcuni affari immobiliari
dell'architetto Adolfo Salabè, considerato molto vicino al
presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e a sua figlia
Marianna. O per poter contare, se necessario, sui buoni uffici di
Lamberto Dini, il patron di Collecchio volle avvalersi, per
un'acquisizione in Sud America, di un consulente vicino a Donatella
Zingone, consorte dell'ex-presidente del Consiglio.
Con la stessa determinazione di costruire intorno alle sue attività
una "fascia di protezione", l'imprenditore di Collecchio dà una mano
ai giornali. Rende possibile, negli anni '90 la nascita dell'Informazione,
un quotidiano diretto da Mario Pendinelli. Finanzia in un'occasione
il Foglio. Concede, su richiesta di Cesare Geronzi, una mano
al Manifesto. La Banca di Roma è esposta con il giornale di
via Tomacelli e grazie a quel finanziamento, dice Tanzi, l'istituto
di credito di cui Geronzi è presidente riduce la "sofferenza". Si
convince a garantire pubblicità al Sole-24 ore per tenersi
buoni gli uomini di Confindustria.
Come si vede, Calisto Tanzi non lesina nomi ma, agli occhi dei
magistrati, risparmia colpevolmente sulle circostanze di riscontro
(ammesso che ci siano, ammesso che quelle circostanze siano opache).
Il patron è ambiguo, è circospetto. Sembra voler spiegare le sue
disavventure con l'oneroso prezzo che ha dovuto pagare alla politica
per proteggersi le spalle, per avere un buon nome e un'apprezzata
reputazione che gli garantisse "ancora tempo" e quindi la
possibilità di far girare sempre più velocemente la giostra delle
invenzioni finanziarie nella disperata speranza di salvarsi dal
fallimento con il sostegno di un sistema bancario controllato dai
politici. Quando si arriva al dunque - ha conquistato quella
considerazione con la corruzione e "altro tempo" con il denaro? -
Tanzi nega e anche quel diniego è, però, equivoco. Il patron rimanda
ai racconti di chi mediava tra Collecchio e il mondo politico, le
istituzioni, gli apparati di controllo della Guardia di Finanza. Chi
è vicino a Tanzi definisce i tre mediatori "i canestri". I
"canestri" hanno un nome e un cognome. Ognuno di loro si occupava di
un settore politico e di un territorio. Sono Sergio Piccini (ora
deceduto), formalmente responsabile dei rapporti con le istituzioni
del gruppo agro-alimentare, Romano Bernardoni, che è stato anche
presidente di Parmatour, e a Roma Filippo Troja incaricato - dice
Tanzi - di tessere il filo con i vertici della Guardia di Finanza.
Soprattutto con Nicolò Pollari, già capo di stato maggiore del
comando generale della Finanza, oggi direttore dell'intelligence
militare (Sismi), e Francesco D'Isanto, comandante in seconda delle
Fiamme Gialle.
Fin qui quello che Repubblica è riuscita a ricostruire delle
dichiarazioni del patron della Parmalat. Sono dichiarazioni che, al
momento, non hanno permesso all'inchiesta di fare un passo in
avanti, né di comprendere come è stato possibile, grazie a chi e a
che cosa, che il settimo gruppo industriale italiano abbia potuto
accumulare debiti per 13 miliardi di euro.
Una cosa appare certa, Tanzi ritornerà a Milano soltanto come
imputato di aggiotaggio nel rito immediato che la Procura si
appresta a chiedere. Forse in aula, dinanzi a un pubblico, forse
dinanzi ai procuratori di Parma, da ieri unici competenti per quest'affare,
Calisto Tanzi riprenderà il filo del discorso oggi interrotto, la
rappresentazione di quella ragnatela che ha protetto un'avventura
lunga due decenni.
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